Avendo contribuito alla sua realizzazione insieme ad uno dei creatori il Consigliere Nazionale FederTrek ANDREA MACCIONI sono estremamente felice di essere riuscito a scalare la vetta più alta delle Apuane arrivando nell’albo a quota 115 CIME di tutto l’Appennino Italiano.
Il primo tentativo di raggiungere questa montagna fu effettuato il 4 Agosto del 2019.
Fallito per la difficoltà inaspettatamente troppo alpinistica senza gli adeguati supporti tecnici che sarebbero potuti servire.
Ecco perché questa volta avevo portato imbracatura e moschettoni ma soprattutto la grande esperienza di ADRIANO FORMICHINI necessaria in caso di problemi.
Fortunatamente non è servita la corda che con molta cura si era portata AURELIO MO.
Già da questo primo giro si evince che le Apuane sono montagne molto severe e dure che vogliono sempre una costante concentrazione per una serie di motivi legati alla morfologia del territorio.
La salita verso la cima, per la presenza di tratti in forte pendenza e scivolosi, è decisamente difficile e può essere affrontata solo da escursionisti molto esperti.
Soprattutto nel traverso che a quota 1650m senza una corda fissa rischia di farti arrivare direttamente al paese di Gorfigliano 1000 metri più in basso.
In questo tratto si alternano infatti tratti abbastanza ben camminabili ad altri su brevi ma esposte cengie.
Si giunge poi a questo delicato traverso, poco prima della sella della Foce Altare, dove bisogna attraversare una breve ma minuscola ed esposta cengia rocciosa, che necessita assolutamente dell’aiuto delle mani e piede fermissimo.
Superato questo punto in breve si perviene a Foce Altare mt. 1730, oltre la quale inizia la risalita del Canalone delle Rose.
Questo inizia subito piuttosto ripido, su traccia sempre molto evidente che pur non presentando eccessiva esposizione, essendo interamente ricoperto di paleo e roccette piuttosto instabili è sempre necessaria una certa attenzione, specie in discesa.
Con numerosi tornanti, e superati alcuni punti dove è necessario aiutarsi con le mani per risalire alcuni gradoni di roccia, si raggiunge la sommità del canale, dove bisogna piegare a sinistra e procedere ora sul filo di cresta.
Questa, seppur non sia eccessivamente difficile, avendo su ambo i lati pendii che precipitano verticalmente per svariate centinaia di metri, in alcuni punti risulta abbastanza esile ed esposta, da affrontare pertanto con molta attenzione.
Una leggenda dice che il monte si chiami Pisanino perché un giovane principe pisano fuggì un tempo verso la Garfagnana.
Qui trovò ospitalità presso un'abitazione nella quale vivevano un uomo e sua figlia, che si presero cura di lui.
La ragazza si innamorò del giovane il quale però, nonostante le sue cure, morì.
Lo seppellirono poco distante dall'abitazione e la ragazza tutti i giorni andava a piangere sulla tomba.
Ogni sua lacrima si trasformò in una pietra e in poco tempo si formò il più alto monte delle Apuane, chiamato il "Pisanino".
Il nome originario del monte sarebbe però "Pizzo della Caranca".
Una delle ascese più dure mai fatte perché le Apuane sono completamente diverse da quelle dell’Appennino centrale.
Il Pisanino è una grossa piramide con sommità tronca.
Il monte è molto imponente visto dalla Lunigiana e dalla Garfagnana, invece dal versante a mare appare come una vetta modesta nascosta dalle altre.
Si trova, insieme al Pizzo d’Uccello, all’estremo nord della catena che domina con la sua imponenza e sorge un po’ isolato al termine di una cresta laterale che si diparte dalla Foce del Cardeto.
E’ circondato da valli molto profonde: ad Ovest la Val Serenaia ed Orto di Donna con i suoi rifugi e le sue cave, a Nord la valle di Gramolazzo incisa dal Serchio di Gramolazzo, ad Est la Valle dell’Acqua Bianca incisa dal Fosso omonimo che nel lago di Gramolazzo va a mescolare le sue acque col Serchio di Gramolazzo, anche questa valle è ricca di cave, a sud il monte si congiunge al Monte Cavallo mediante gli Zucchi di Cardeto che scendono alla Foce di Cardeto da cui inizia il monte Cavallo in direzione sud-est.
Essendo circondato da ogni lato da valli molto profonde dà di sé un’immagine sempre molto grandiosa.
A nord-est il monte digrada con una lunghissima cresta, detta Cresta della Mirandola, verso il paese di Gorfigliano.
Si chiama invece Bàgola Bianca la cresta a nord-ovest che scende verso la valle di Gramolazzo ai Prati del Pisanino.
Una traversata che ha permesso di toccare anche un’altra cima molto importante come quella del Tambura.
Il primo caldo asfissiante soprattutto nelle valli senza vento e ancor di più durante l’attraversamento delle cave ha reso questa ascesa difficilmente comparabile anche alle più dure dell’Appennino centrale.
Inoltre i boati delle ruspe che tagliavano il marmo rendevano l’ambiente ancora più impressionante.
Una discesa infinita ci porterà tuttavia nel Rifugio migliore che potevano avere sia per il cibo che per la doccia più desiderata in questi anni di salite.
La Rifugista Rebecca come un sergente gestisce il Donegani che si affaccia sulla montagna da noi raggiunta precedentemente.
La birra a fiumi permette il recupero dei sali persi.
Per un attimo con Adriano sembravamo come TEX WILLER e KIT CARSON al ritorno da una delle loro avventure nel deserto.
Cala il buio sul Pisanino di fronte a noi come il sipario in un teatro che ha visto solo 3 spettatori e attori.
GRAZIE ADRIANO e AURELIO !!!
ITINERARIO: Rifugio Nello Conti 1442m, Finestra Vandelli 1404m, Passo Tambura 1622m, Monte Tambura 1890, Monte Crispo 1834m, Passo della Focolaccia 1642m, Traverso Zucchi di Cardeto sotto Pizzo di Mezzo e Pizzo Maggiore, Foce Altare 1730m, Canale delle Rose 1850m, Vetta del Monte Pisanino 1946m, ritorno stessa via fino a Foce di Cardeto 1642m, Bivacco K2 1500m, Rifugio Orto di Donna 1493m, Rifugio Donegani 1121m